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ABBAZIA DI SAN GALGANO, TRA SUGGESTIONE E LEGGENDA

ABBAZIA DI SAN GALGANO, TRA SUGGESTIONE E LEGGENDA

Oggi è il terzo giorno d’autunno e piove. Un toccasana per l’umore, insomma. È dunque finita ma è stata un’estate strana, questa del 2020. Io personalmente me la ricorderò come l’estate in cui non ho visto il mare nemmeno una volta. Io che sono innamorata del rumore delle onde, delle passeggiate coi piedi a mollo e il sole in fronte, riparata dal mio cappello snob a tesa larga e gli occhiali da sole; e non meno dei tramonti, nella cui attesa romanticamente sogno di dividere una pizza sulla battigia con qualcuno che amo mentre il cielo si colora di arancio, rosso, viola e il sole in pochi minuti va a nascondersi dietro l’orizzonte.

Quest’anno ho riscoperto luoghi che mi erano rimasti nel cuore da vacanze passate, ho riguardato vecchie foto e ritrovato scatti che mi hanno riportato alla mente bei ricordi. Viaggi di oltre dieci anni fa, ma in un certo senso senza tempo.

Perché tra le foto che mi hanno trasmesso più emozioni c’è quella di un bacio scambiato con una persona speciale in un luogo magico: l’Abbazia di San Galgano a Chiusdino, in provincia di Siena.

Un luogo in cui si respira un’atmosfera particolare, posto a circa 35 km a sud rispetto a Siena. Due sono i punti di attrazione: la grande Abbazia cistercense e l’Eremo di Montesiepi, dove secondo la leggenda San Galgano si ritirò a vita eremitica verso la fine del XII secolo. Una leggenda che racconta anche di come, egli abbia conficcato dentro una roccia la sua spada, trasformando un oggetto nato come arma atta ad offendere in una croce. Prima della scoperta della vocazione infatti, San Galgano era un cavaliere che ingaggiava battaglie e duelli e questa reliquia, unitamente al mistero che l’accompagna, oggi si trova all’interno dell’Eremo di Montesiepi (detto anche Rotonda), una pieve romanica a pianta rotonda appunto, che sorge a poche centinaia di metri dalla Grande Abbazia. Di cui, se siete curiosi, vi racconterò qualcosa.

Presso la Rotonda di Montesiepi dunque, stanziava una comunità di monaci cistercensi. Tuttavia, non riuscendo più il piccolo eremo a contenere né i monaci né i fedeli che ivi si fermavano, fu deciso nel 1218 di iniziare la costruzione – nella pianura sottostante – di quella che oggi è l’Abbazia di San Galgano, incoraggiati dall’allora Vescovo di Volterra. In poco tempo i monaci di Montesiepi divennero un punto di riferimento per il territorio e per la Repubblica Senese, tanto da riuscire ad accumulare beni sufficienti per completare la costruzione dell’imponente Abbazia dall’aspetto gotico con pianta a croce latina a tre navate, ampio transetto, sedici campate di pilastri cruciformi, capitelli intarsiati, chiostro, sala capitolare e campanile.

La chiesa infatti, doveva rispettare i canoni delle abbazie cistercensi, stabiliti dalla regola di San Bernardo, che imponeva norme precise su localizzazione, sviluppo planimetrico e lo schema distributivo degli edifici.

Una di queste regole, era quella di far sorgere le chiese lungo importanti vie di comunicazione per rendere più agevoli gli spostamenti, vicino ai fiumi per poter sfruttare la forza idraulica ed in aree boscose o paludose per poterle bonificare ed avviare coltivazioni. L’Abbazia infatti, venne costruita vicino al fiume Merse e nei pressi della via Maremmana.

La fine del complesso indicativamente è databile intorno al 1288 e per molti anni è stato caratterizzato da uno splendore ed una ricchezza tali da attirare l’attenzione degli eserciti fiorentini, che ben presto introdussero su questo complesso la “commenda” – ovvero il conferimento ad una persona di un beneficio ecclesiastico al fine del solo usufrutto delle rendite senza oneri – portando, insieme alla carestia del 1329 e la peste del 1348 ad un lento decadimento dell’Abbazia, con i monaci che si trasferiscono quasi totalmente a Siena. Nel 1550 infatti, i monaci rimasti erano solo cinque, per diventare uno solo nel 1600, quando ormai il complesso era in rovina.

La figura dell’abate commendatario infatti, si rivelò una sventura: uno di loro a metà del Cinquecento, fece rimuovere la copertura in piombo del tetto dell’Abbazia per venderla e l’aspetto che la costruzione ha ancora oggi è la conseguenza di tale operazione che, inevitabilmente, portò ad un deperimento inarrestabile della struttura. Attualmente l’interno della chiesa priva della copertura si presenta anche senza pavimento, sostituito da terra battuta che durante il periodo primaverile si trasforma in un manto erboso.

Lentamente si arriva al Settecento ed il decadimento dell’Abbazia di San Galgano si completa nel 1786 quando un fulmine colpisce il campanile alto 36 metri, facendolo crollare e la campana maggiore del Trecento che accoglieva, nonostante si fosse salvata dall’incidente, fu avviata alla fusione e venduta come bronzo. Per un periodo, sembra addirittura che l’Abbazia sia stata trasformata in fonderia ed il monastero in fattoria e che nel 1789 sia stata definitivamente sconsacrata.

Nell’Ottocento, l’interesse per questo complesso così particolare fortunatamente riprese ed è stato da allora oggetto di numerosi interventi di recupero che hanno permesso di giungere alla struttura attuale, aperta alle visite del pubblico.

Da monumento dimenticato dunque, il complesso di San Galgano si è trasformato oggi in una delle più suggestive ed apprezzate destinazioni di origine medievale di tutta la Toscana.

Ma c’è una curiosità in più che, visto lo stile dei miei racconti in queste pagine dove mi piace abbinare la scoperta dei luoghi con le eccellenze enogastronomiche dei territori, non potevo non citare. Nel corso della loro permanenza all’Eremo, i monaci cistercensi avevano qui impiantato dei vigneti, più precisamente a Frosini, un villaggio lungo la via Francigena in cui si produceva vino Sangiovese, posto ad una un altitudine di 600 metri, ben ventilato, caratterizzato da terreni di arenaria ed argilla che drenano bene, conferendo fin da allora uve sanissime.

Ebbene, quelle vigne oggi, grazie all’Azienda Agricola Nenni, sono tornate a vivere, con varietà moderne ma coltivate con l’alberello come facevano al loro tempo i monaci. Trentacinque ettari di cui cinque vitati, l’estensione di questa realtà che sorge su quella che una volta era proprietà degli stessi monaci, di cui si possono ancora ritrovare tracce. Ciò che ne deriva è un vino che, oltre alla qualità indiscussa, riesce a far sognare anche per la millenaria storia dei vigneti da cui nasce. La prima annata prodotta è stata il 2012, anche se la prima uscita ufficiale con etichette dedicate a San Galgano è stata l’anno successivo, il 2013.

 

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