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ALLA CORTE DI SUA MAESTA’ IL TARTUFO: UN BLOG TOUR NEL REGNO DI STEFANIA CALUGI

ALLA CORTE DI SUA MAESTA’ IL TARTUFO: UN BLOG TOUR NEL REGNO DI STEFANIA CALUGI

Forse il periodo migliore per parlarne sarebbe stato il tardo autunno, quando l’attività di raccolta è nel pieno del suo svolgimento, ma proprio nei giorni scorsi mi è capitato di leggere un articolo in cui si diceva che a causa della prolungata siccità il 2017 è stato ribattezzato annus horribilis per vino, olio e tartufi. Non ho resistito, ho preso carta e penna – anzi, mouse e tastiera – e ho voluto raccontarvi la mia ultima “food experience”, che ha visto protagonista proprio Sua Maestà il Tartufo. Sarà che la Toscana è da sempre un pozzo di risorse, che questa terra riesce a tirare fuori il meglio di sé quando viene messa alla prova… ma quelli che ho avuto il piacere di conoscere e degustare a Castelfiorentino, visitando l’azienda di Stefania Calugi, hanno dimostrato che non per tutti i tartufi è stata una stagione sottotono. Quelli di Stefania, discendente da quattro generazioni di tartufai fin dalla fine del 1800, sono cresciuti nei 30 ettari di tartufaie spontanee con certificazione bio che appartengono alla sua azienda, un’oasi verde tra le colline di San Miniato – riconosciuta a livello mondiale come una delle aree più pregiate in Italia per il tartufo bianco – e le Crete Senesi. All’interno dell’azienda un percorso conoscitivo, “La Strada del Tartufo”, ovvero un itinerario unico nel suo genere costruito ad hoc affinché il visitatore possa esplorare, camminando, un ambiente che contiene specie arboree, illustrazioni, fotografie e testi descrittivi i quali, partendo dalla nostra Toscana, terra ricca di storie da raccontare, conducono all’interno dei segreti più intimi del tartufo tra leggende, esperienze sensoriali e scienza. Alimentata dunque dalla curiosità di conoscere in che modo Stefania Calugi mantiene i valori e lo stile distintivi – tra cui il massimo rispetto per il territorio e l’ecosistema e la rigorosa selezione dei prodotti e delle materie prime – per una volta ho deciso di cambiare scaletta del post, partendo dal prodotto, per terminare con una panoramica – e stavolta sarà veloce – sul territorio e sui riferimenti storico-culturali-artistici-architettonici che lo caratterizzano. In realtà, se proprio vogliamo essere onesti fino in fondo, la vera opera d’arte qui è proprio lui, il tartufo. In questo forziere di preziosi gioielli, le cui chiavi sono custodite nell’olfatto di splendidi Lagotti da cerca, si possono trovare varie tipologie di tubero, ciascuno protagonista in un diverso periodo dell’anno, rendendone così la produzione non una attività stagionale ma continuativa.

Vediamoli nel dettaglio, partendo dal più celebre e pregiato, ovvero il Tuber magnatum Pico (tartufo bianco), che viene raccolto dal 10 settembre al 31 dicembre. Il suo profumo intenso e penetrante che ricorda quello del metano o del formaggio fermentato lo rende perfetto per essere consumato crudo su pietanze calde che ne esaltino l’aroma nella sua interezza. Altrettanto pregiato è il Tuber melanosporum Vitt. (tartufo nero pregiato) che si raccoglie dal 15 novembre al 15 marzo: profumo delicato e gradevole ed un sapore gustoso per questo tubero, che ben si presta alla cottura e all’accompagnamento di secondi piatti di carne. Simile a quest’ultimo è il Tuber brumale Vitt. (tartufo nero d’inverno), profumo forte che ricorda quello della rapa ed un gusto deciso che lo rende in genere prediletto da coloro che amano i sapori forti. Il periodo di raccolta va dal 1 gennaio al 15 marzo, mentre inizia prima – il 15 novembre – la raccolta per il Tuber brumale var. moschatum De ferry (tartufo moscato) ovvero una varietà di tartufo brumale dallo spiccato odore di muschio, del tutto identica in tutto il resto al brumale propriamente detto. Arriva fino alla primavera inoltrata – la raccolta è dal 10 gennaio al 30 aprile – il Tuber albidum Pico (tartufo bianchetto o marzuolo): profumo deciso con sentori agliacei e sapore spiccato e durevole, lo rendono un condimento adatto a varie pietanze, purché, come accade anche per il tartufo bianco pregiato, non lo si sottoponga a prolungata cottura. Ancora più avanti con la stagione – dal 1 giugno al 30 novembre – si raccoglie il Tuber aestivum Vitt. (tartufo scorzone) con il suo profumo tenue, utilizzato come base per preparazioni con altri ingredienti. Il ciclo annuale del tartufo si conclude con il Tuber uncinatum Chatin (tartufo uncinato) che si raccoglie dal 1 ottobre al 31 dicembre il cui aroma gustoso lo rende particolarmente versatile in cucina, sia da crudo che da cotto, con i Tuber macrosporum Vitt. (tartufo nero liscio) dal 1 settembre al 31 dicembre e il Tuber mesentericum (tartufo nero ordinario) dal 1 settembre al 31 gennaio.

Potrei parlare dell’intera produzione, che conta attualmente oltre 150 referenze – tutte gluten free – suddivise in varie linee, ma ho scelto di concentrarmi solo sulla linea Bio, fatta di prodotti con certificazione biologica – che l’azienda ha dal 2014 – con i quali è possibile comporre un intero menu, a cui sono state aggiunte di recente anche alcune referenze “vegan”.

Per esempio, con una salsa del tartufaio biologica di funghi e tartufo, così come con la trifolata di funghi biologica con porcino personalmente inizierei un pranzo, utilizzandola quindi tra gli antipasti. Utilizzerei invece il condimento biologico a base di burro e tartufo estivo per un primo, abbinandoci anche – a scaglie – il tartufo estivo al naturale biologico. Con l’affettato di tartufo in olio biologico? Un secondo, o anche da solo. Accompagnato semplicemente con del buon pane toscano sciapo. Che si presta bene anche a far da spalla al condimento biologico a base di olio extravergine di oliva al tartufo bianco. Per dessert che ne dite di spalmare su una fetta del suddetto pane una cucchiaiata di confettura biologica extra di fichi con tartufo oppure il preparato a base di miele con tartufo bianchetto biologico?

LA RICETTA CONSIGLIATA

A proposito di menù, siete curiosi di sapere cosa ha preparato per gli ospiti il bravissimo chef Diego Spatari Tironi a conclusione di un interessantissimo blog tour in azienda? Partendo dall’aperitivo, personalmente ho scelto di assaggiare dei golosi fagottini di pasta fillo in sorpresa di carciofo su patata viola e dadolata di zucca gialla al miele di acacia con cialde di polenta al cavolo nero in glassa di burro tartufato, una mousse tiepida di patate al Parmigiano Reggiano DOP 30 mesi con affettato di tartufo e croutons di segale al timo e una selezione di creme di verdure con varie tipologie di pane e cruditè di vegetali. A seguire, delle invitanti linguine di Campofilone al tartufo mantecate alla zucca gialla con tartufo fresco, fonduta di Parmigiano Reggiano DOP e nocciole tostate. La vera sorpresa, per me che solitamente non mangio carne cruda, è stata la tartare di Chianina battuta a coltello su salsa Bearnaise al profumo di zafferano, meringata salata e affettato di tartufo: eccellente. Così come una piacevole sorpresa è stata la conclusione con il dessert, un crumble di amaretti con pasticcera di mandorle e tartufo, Cialda di Montecatini e gelée di balsamico Modena DOP.

CENNI STORICI E LEGGENDE SUL TARTUFO

Oggi è considerato uno degli alimenti più pregiati in assoluto, prediletto dai professionisti dell’alta cucina, ma le origini del tartufo sono antiche, così come le leggende che lo vedono protagonista. Il termine “tartufo” deriva dal latino terrae tufer, escrescenza della terra dove tufer sarebbe usato al posto di tuber: è certa la sua antichissima presenza presso i popoli mediterranei, e le prime notizie compaiono nell’opera “Naturalis Historia” dell’erudito latino Plinio il Vecchio (79 d.C.) da cui si evince che il tuber era molto apprezzato sulla tavola dei Romani i quali molto probabilmente lo avevano conosciuto dagli Etruschi. In epoca romana il tartufo era molto apprezzato per il suo gusto ed aveva un prezzo elevato proprio a causa della sua rarità, dovuta alla sua difficile reperibilità: le prime ricette di piatti a base di tartufo si ritrovano nel “De re coquinaria”, opera di Marco Gavio detto Apicio che fu un celebre gastronomo vissuto ai tempi dell’imperatore Tiberio. Tuttavia è nel Rinascimento che il tartufo diviene grande protagonista delle mense aristocratiche, come insegna Caterina dè Medici che nel 1500 portò alla corte di Francia il tartufo bianco che cresceva nel Castello Mediceo di Cafaggiolo a Barberino di Mugello (FI). Nel 1700, una volta abbandonata la consuetudine di condire i cibi con notevoli quantità di spezie, si diffuse la pratica di usare il tartufo per dare sapore alle pietanze e il suo utilizzo si diffuse in questo modo nelle varie corti europee, soprattutto in Francia – dove si sviluppò una predilezione per il Nero Pregiato Melanosporum Vitt. – e in Italia, dove invece si affermò il consumo del Tartufo Bianco Magnatum Pico.

IL TERRITORIO DI RIFERIMENTO

Anche qui, ero indecisa se parlarvi di San Miniato – dove sono le tartufaie – o di Castelfiorentino, dove ha sede l’azienda. Ho scelto quest’ultimo, che oltre ad essere collocato in una posizione strategica nel cuore della Toscana al centro di un crocevia naturale che unisce città d’arte come Firenze, Pisa e Siena, ha anche il suo lato storico-artistico, e pure importante. Uno su tutti, il passaggio della Via Francigena che da Canterbury portava a Roma, uno degli antichi percorsi medievali, una via maestra percorsa in passato da migliaia di pellegrini e che ha altresì svolto un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità europea mettendo in relazione tra loro religioni, culture, abitudini, linguaggi ed economie locali. Ma non solo. Da vedere in questo angolo di Granducato ci sono anche ville storiche e castelli, come ad esempio Villa di Meleto, un chiaro esempio di architettura rinascimentale con tanto di giardino all’italiana al suo interno, nota soprattutto grazie alla figura di Cosimo Ridolfi: è qui infatti che nel 1843 il celebre agronomo fiorentino fondò il primo Istituto Agrario in Italia, dove gli studenti potevano apprendere le nuove tecniche agricole “sul campo”, in un moderno podere sperimentale. Oppure il Castello di Oliveto, costruzione rettangolare a mattoni con alte mura e quattro torrioni coronati da merlatura, con torrette campanarie e orologio costruito dalla famiglia fiorentina dei Pucci come casa di campagna nel 1424 e recentemente attribuito nientemeno che a Filippo Brunelleschi. Considerato uno dei castelli più belli della Toscana, nel corso dei secoli ha ospitato personaggi illustri come i tre Papi Leone X Medici, Clemente VII Medici, Paolo III Farnese e il Re d’Italia Vittorio Emanuele III.

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